Lettura postclassica della Divina Commedia (Altro)

Inviato da Rafel Mei 33 @, Roma, domenica, dicembre 22, 2024, 16:17 (33 giorni fa)

QUIVI TROVAMMO PLUTO IL GRAN NIMICO

Lettura postclassica della Divina Commedia
Nelle edizioni della Commedia si incontrano vari problemi di interpretazione e di trascrizione, alcuni dei quali sembrano ormai risolti, mentre per altri non sono in vista spiegazioni convincenti; ne propongo una non esaustiva rassegna, cominciando dai primi temi interessati;

Inferno canto I verso 30
Sì che l‘piè fermo sempre era il più basso

Ma camminando in salita il “piè fermo” si trova ad essere alternativamente il più basso e il più alto. In settecento anni nessuno ha voluto ammettere che l’io narrante usa un arzigogolo per riferire che stava camminando in piano, eppure (verso 31), Dante offre una ridondanza informatica:

Ed ecco, quasi al cominciar dell’erta

(la salita viene “dopo”)

Inferno canto III verso 51

Non ragioniam di lor ma guarda e passa!
E’ da tralasciare la versione
Non ti curar di lor….

Inferno canto III verso 60

Che fece per viltate il gran rifiuto

Costui è uno dei tanti la cui pena consiste, oltre che nella sofferenza inflitta dal vento e dagli insetti, nella damnatio memoriae, nel non essere mai più ricordati; Dante annulla storia e memoria di questi che non hanno speranza di morte, e nello stesso tempo condivide col lettore il disprezzo per loro, con una magica sinergia di considerazioni collettive (fama di loro il mondo esser non lassa) e di puntualizzazioni (poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto). Non importa chi sia il gran rifiutante, non si dà il privilegio di essere nominato a chi non dovrebbe mai essere esistito. (Sembrano superati i Diocleziano, i Pilato gli Esaù e gli altri).

Inferno canto V verso 9

Mentre che il vento, come fa, ci tace
Tacersi, interrompere l’emanazione di suoni, dunque il vento “si tace”; infatti molti commentatori riportano questa versione evitando il brutto scioglilingua che rovinerebbe un verso di struggente poesia.

Inferno canto V verso 91

Se fosse amico il re dell’universo

Questo lapsus insidiosamente blasfemo è un sintomo della rimozione imperfetta dei risentimenti che invadono il Poeta; inizia l’attacco distruttivo alla dottrina tomistica, con altre “ribellioni” oltre al rifiuto della condanna per Francesca e Paolo,
- Pier delle Vigne (Inf XIII 31 -45); l’io narrante ha colto il ramicello dal pruno e resta attonito durante tutta la protesta del suicida, calpestando la logica del raccontare (tanta deferenza per lo sterpo, quando ancora non sa di chi si tratta). Per il Poeta uno strazio di sentimenti, mentre Pier delle Vigne, nella sua disperata dignità, esige il rispetto di Dante che tiene ancora in mano lo stizzo verde. Il non detto sottostante produce una orrenda delicatezza del brano, che in superficie di delicato non ha nulla.

-Virgilio, chiuso nel Limbo insieme ai fanciulli morti prima del battesimo (Inf IV 41, 42; Purg. VII 28-33); qui il sintomo emerge nel modo di sottolineare la levità della sofferenza, e nell’ammettere una disperazione anestetizzata:

Semo perduti, e sol di tanto offesi,
Che sanza speme vivemo in disìo

Loco è laggiù non tristo da martìri
Ma di tenebre solo, ove i lamenti
Non suonan come guai, ma son sospiri
Quivi sto io coi parvoli innocenti
Dai denti morsi della morte, avante
Che fosser dell’umana colpa esenti;

(1)

-Catone custode dell’ingresso del purgatorio

Purgatorio canto I versi 88 – 93
Soltanto dopo diciassette terzine si rivela indirettamente il nome del personaggio. Catone, mentre è oggetto di venerazione con Dante in ginocchio, ascolta silenzioso del percorso privilegiato narrato da Virgilio che pure ne è escluso per sempre; un silenzio significativo.
Quindi l’episodio, dove si prosegue a “confondere” mito e teologia: Virgilio chiede a Catone che in nome della sua Marzia conceda il passaggio a Dante, ma Marzia è per sempre separata dall’Acheronte; Catone, mutilato della facoltà di amare, dà una risposta distaccata, burocratica, dove il sintomo è quel cenno di recriminazione che i versi non riescono a filtrare

Or che di là dal mal fiume dimora,
Più muover non mi può per quella legge
Che fatta fu, quando me n’uscii fuora

Ma se donna del ciel ti muove e regge,
Come tu di’, non c’è mestier lusinghe:
Bastiti ben che per lei mi richiegge.


(E’ da notare che in questo canto si trovano i versi 115 – 117, tra i più belli di tutta la letteratura).

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Rafel Mei

Lettura postclassica della Divina Commedia

Inviato da Rafel Mei 33 @, Roma, giovedì, dicembre 26, 2024, 11:03 (29 giorni fa) @ Rafel Mei 33

proseguiamo....

Inferno canto VII primo verso

Papè satàn, papè satàn aleppe!

E’ da considerare la versione proposta da Armando Troni, deformazione dell’arabo “Beb el Chajtan,Beb el Chajtan, Laheppe ”, la porta di Satana, la porta di Satana, (fermati) la fiammata!.

I versi che seguono tendono a confermare questa interpretazione; vista l’esortazione del savio gentil che tutto seppe (anche l’arabo biascicato dal guardiano infernale) a non farsi danneggiare dalla paura, è come se Dante “si facesse ripetere” da Virgilio quanto Pluto voleva significare, cioè “fermati!”:

…Non ti noccia
la tua paura; ché poder ch’elli abbia,
non ti torrà lo scender questa roccia.

Questa invasione linguistica merita qualche considerazione: l’arabo con cui avevano contatto gli studiosi del tempo come Brunetto Latini, Raimondo Lullo, Ricoldo da Montecroce, Dante stesso, era l’idioma classico, importato oltre che con i contatti verbali, con i testi che “giravano”, (particolarmente noti dovevano essere insieme al Corano e alle narrazioni del mi’raj, cioè dell’ascesa al cielo di Maometto, ”L’Alchimia della felicità” e il “Libro della Scala” di Abraham Alfaquin); ora le opere scritte escluderebbero le espressioni dialettali della diglossia, ma come spesso accade nelle citazioni in lingue diverse da quella del testo, si operano delle deformazioni più o meno volontarie (un esempio è fornito dallo stesso Dante nella “Vita Nova” alla prefazione del sonetto “Li occhi dolenti per pietà del core”, dove cita la denominazione del mese di ottobre, ”Tisirin”, versione addomesticata dell’originale arabo “Techrjn”) (2)
Con il supplizio di Maometto prosegue l’ostentazione del disprezzo per il tipo di castigo attraverso le parole del castigato (Inf XXVIII 34 -36)

E tutti gli altri che tu vedi qui
Seminator di scandalo e di scisma
Fuor vivi, e però son fessi così.

C’è inoltre da notare la particolare presa di posizione, che si troverà nel canto III del Paradiso, verso 120, dove Piccarda Donati elogia l’imperatrice Costanza il cui merito essenziale è aver generato Federico II (è da sottolineare l’ammirazione del Poeta per “il Sultano Battezzato”, campione di quella civiltà che si vorrebbe limitata e caduca).

Inferno canto XII versi 77 – 78

...e con la cocca
Fece la barba indietro alle mascelle

Tendendo l’arco con la cocca vicino alla guancia sposta la barba indietro e lascia vedere la bocca.

Non si vede la ragione per cercare metafore e allegorie ad ogni costo.

Inferno canto XIV verso 80

Che parton poi tra lor le peccatrici

Ormai i commentatori riportano l’appropriata versione “pettatrici”, che tuttavia deve ancora essere giustificata con qualche informazione. Ai tempi di Dante la pettatura era un’operazione agricola nota e diffusa come la trebbiatura del grano o la molitura delle olive, giacché costituiva il trattamento centrale della canapa, fibra tessile allora poco meno che unica. La canapa si fa macerare in sufficiente quantità di acqua, si lascia asciugare, e poi la pettatrice (lavoro di donna è) la fa passare attraverso le scanalature longitudinali baciate delle fauci di un coccodrillo (la gramola), e mentre, sempre la pettatrice, con una mano tira il mannocchio, con l’altra che ha afferrato il naso dell’attrezzo, batte la mascella contro la mandibola, triturando le cannule infragilite e lasciando uscire la fibra pulita. Come facevano i primi commentatori a non parlare di “pettatrici”, e a descrivere improbabili congressi di (avessero almeno detto) “meretrici” igieniste?


Inferno canto XXXI verso 67

Rafel mai amech zabi et almi

Qui il Poeta non intende mascherare alcun significato, anzi esclude che ve ne sia uno, come dimostra la risposta di Virgilio, così diversa dal caso del pape satan (3). Ma nell’espressione animalesca di Nembroth, il maggiore colpevole fra coloro che hanno perso il linguaggio comune lungo la torre di Babele, si rintraccia qualche suono ebraico, così in questa frase disarticolata prende senso il contrappasso.

NOTE
(2) Le considerazioni qui esposte sono dedotte dai testi di Ievolella, Gabrieli, Asin Palacios, che discutono la possibilità di plagio da parte di Dante ai danni di autori araboislamici come Ibn Arabi, Abraham Alfaquin e altri. Ovviamente qui non ci occupiamo della questione del plagio, ma solo del rapporto di Dante con la lingua araba, e da questi lavori si evince che il Poeta conosceva la lingua a un livello sufficiente per produrre la famosa dizione che oggi diremmo giornalistica.

(3) In questa circostanza Virgilio semplicemente zittisce e liquida Nembrot, mentre Pluto viene sgonfiato e abbattuto come a dimostrare quanto sia velleitaria la sua pretesa di bloccare il percorso che Dante sta intraprendendo e, nota nella nota, non sembra che mito e teologia siano equiparati del tutto, il mito ha un peso maggiore.

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Rafel Mei

Lettura postclassica della Divina Commedia

Inviato da Rafel Mei 33 @, Roma, giovedì, dicembre 26, 2024, 11:47 (29 giorni fa) @ Rafel Mei 33

e ancora..

Inferno canto XXXI verso 67

Rafel mai amech zabi et almi

Qui il Poeta non intende mascherare alcun significato, anzi esclude che ve ne sia uno, come dimostra la risposta di Virgilio, così diversa dal caso del pape satan (3). Ma nell’espressione animalesca di Nembroth, il maggiore colpevole fra coloro che hanno perso il linguaggio comune lungo la torre di Babele, si rintraccia qualche suono ebraico, così in questa frase disarticolata prende senso il contrappasso.

Inferno canto XXXIII verso 75

Poscia, più che il dolor poté il digiuno.

Alcuni sostengono che Ugolino abbia mangiato dai corpi dei giovani appena morti, altri lo negano.
Strana situazione: i sostenitori della tesi antropofaga sono introvabili direttamente ma sono ripetutamente citati, non nominati, da coloro che si affannano a contraddirli.
Per esempio Benvenuto e Buti a dimostrazione della tesi negazionista narrano che al momento della sepoltura i figli e i nipoti di Ugolino avevano su ancora ceppi e catene, Borges, fra coloro che amano attribuire a Dante tutte le ambiguità possibili, si schiera per il dubbio.
Ma questa diatriba ha un che di offensivo nei confronti del Poeta.
Il verso pone una chiusura lapidaria a un crescendo tragico e disperato, parentesi sospensiva della punizione di Ruggieri, che infatti riprende subito con veemenza.
Se fosse suggerito uno strascico cannibalesco, tale da far immaginare possibili atti come addentare l'addome del morto per mangiarne fegato e grasso, si distruggerebbe in modo grottesco la solennità perentoria dell'assolo di Ugolino. Eliminare l'illazione antropofaga è una inesorabile esigenza estetica.

Paradiso canto II ,versi 23 – 24

E forse in tanto, in quanto, un quadrel posa
E vola e dalla noce si dischiava

Dante propone un’immagine esplosiva per misurare la velocità ultraumana del suo tragitto dalla vetta del Purgatorio al corpo lunare, riferendo di aver impiegato lo stesso infinitesimo tempo in cui la coda di una freccia passa dal grilletto alla testa della balestra (lo scatto della molla) e questo è descritto con un hysteron proteron, come se la freccia prima uscisse (vola) poi venisse scoccata (dalla noce si dischiava). Sbagliata l’interpretazione del percorso fino al bersaglio.

Paradiso canto XXIV Versi da 52

Premesso il necessario rituale accademico, si celebra l’esame sul possesso delle virtù teologali, in particolare la fede. Allora, col piglio e la convinzione che l’ironia richiede, Dante recita per intero il credo partorito al Concilio di Nicea.

Paradiso canto XXVIII verso 93

Più che il doppiar degli scacchi s’immilla

Raddoppiare e moltiplicare per mille sarebbero due cose diverse, ma non del tutto: ad ogni aumento di dieci dell’esponente di due, cioè lo scorrimento di dieci caselle, corrisponde un fattore mille e oltre, (1024 per l'esattezza) sul valore della potenza:

210=1.024
220= 1.024x1.024
230 = 1.024x1.024x1.024
Ecc.

E’ forse una considerazione un po’ forzata, ma nel contesto astronomico relativistico ante litteram in cui si svolge l’azione, la nota è almeno plausibile. (4)


Paradiso canto XXXI verso 12

Sarebbe fronda che tuono scoscende

Inutile discettare sul tuono e sul lampo. Questa è una metonimia con tuono in valore di fulmine.

Paradiso canto XXXI versi 91 – 93
...

ed ella, sì lontana
Come parea, sorrise e riguardommi:
Poi si tornò all'eterna fontana.

i versi velano un arcano che ti cattura in un pathos profondo, fuori dal tempo. Nel silenzio, un breve sguardo è il richiamo ultraterreno che la poesia regala talvolta a ciascuno di noi.

(4) La terra è al centro dell’universo, ma diventa la piccola e distante aiuola che ci fa tanto feroci (Par XXII 151), se vista dall’ottavo cielo, ed è ancor meno centrale rispetto a un punto che raggiava lume: (Par XXVIII 16), punto che risulta fisso rispetto a tutti gli altri corpi che compiono rotazioni composte con rivoluzioni.

Una visione contemporaneamente copernicana e tolemaica è appunto una concezione relativistica.

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Rafel Mei

Lettura postclassica della Divina Commedia

Inviato da Rafel Mei 33 @, Roma, giovedì, dicembre 26, 2024, 11:50 (29 giorni fa) @ Rafel Mei 33

infine..

Ora è da considerare un quesito fondamentale che si ripropone più volte come un leit motiv, e cioè come è possibile che il male coesista con l’onnipotente bontà divina. Le confessioni religiose risolvono vietando alla mente umana di occuparsene. Confrontiamo il trattamento del tema nella Commedia di Dante e nel Paradiso Perduto di John Milton. Il Paradiso Perduto è una parafrasi dei più antichi testi biblici, caratterizzata da struggente lirismo, la presenza del male va assorbita nel mistero, cominciando dal dubbio dello stesso satana "which way shall I fly Infinite wrath, and infinite despair?” e continuando con Adamo opportunamente consigliato dall'arcangelo: "abstein to ask ... things not revealed, which th'invisible King... hat suppressed in night". Dante reagisce alla proibizione del sapere rappresentando coloro che osano spingersi nello studio e nell'innovazione, tutti costoro, vincenti o perdenti sono ferocemente puniti (il culmine è Apollo che scortica vivo Marsia) e scalcia mentre subisce la violenza della limitazione al sapere umano, con una sbirciata teologica presentata in forma di mito:

Inferno canto IX versi 61 – 63

O voi che avete gl’intelletti sani
Mirate la dottrina che s’asconde
Sotto il velame delli versi strani!

Per non guardare la Medusa, Dante ha dovuto voltarsi dall’altra parte proteggendosi gli occhi con le mani, e non bastando, Virgilio ha coperto con le sue le mani di Dante (solo i saggi eletti possono rifuggire dalla scienza e nutrirsi di rivelazione)

Purgatorio canto III versi 32 - 45, 71 e altri

Simili corpi la virtù dispone ecc.

Virgilio consiglia Dante di rinunciare a capire dei fatti fisici, perché la religione non vuole che si capisca, si spinge a confermare un dogma niceano, deplora la volontà di conoscenza dei grandi pensatori, si accorge di far parte di costoro, e rimane turbato. Il silenzio dell’ascoltatore è quanto meno perplesso.

Purgatorio canto XII versi 25 – 61

Vedea Nembrot a pié del gran lavoro,

La limitazione delle aspirazioni umane appare giustificata in quanto punitiva della superbia, tuttavia Aracne ha la colpa di essere più brava di Minerva, Niobe va punita perché più prolifica di Latona, Eva avrebbe fatto meglio a lasciare in pace il pomo della conoscenza.
La cappa teologica è finemente rivettata a limitare le pretese dell’intelletto umano, di cui il re Salomone è portabandiera, un ruolo che manterrà purché non si azzardi a discettare sulla logica aristotelica o sul primo mobile, purché eviti di impastoiarsi in altri filosofemi come un traballante Parmenide, e soprattutto guai a tentar di prevedere il futuro, ché tale opera è soggetta a fallire per definizione. Questo furore contro le aspirazioni intellettuali non è accettabile sic et simpliciter, ma deve essere deformazione di qualcosa d’altro, un passo verso la distruzione totale del castello teologico.
La ribellione prosegue con toni diversi; nel XX canto del Paradiso, oltre agli eletti di routine compaiono, come affronto alla teologia classica, Traiano, l’imperatore che fece giustiziare gli assassini del figlio della vedova, e Rifeo, che perì nella difesa di Troia.
Poi la riflessione si fa più intima e più aperta al tempo stesso; man mano il non dire diventa non ricordare, si insinua dubbio e incertezza sul che da ricordare, fino all’incapacità di recepire l’alta fantasia, il disvelamento impossibile, il niente da disvelare

Paradiso canto XXXIII verso 142

All’alta fantasia qui mancò possa

Nelle terzine precedenti la divinità è sfumata, strutturalmente inesistita come la sentenza di Sibilla, e tuttavia ammessa come il noumeno kantiano, ma qui siamo al redde rationem, solo l’accenno a una rivelazione irricevibile tende a superarne la proponibilità logica, un punto oltre il quale è la dispersione cosmica (versi 143 – 145)
Ma già volgeva il mio disire e ‘l velle,
Sì come ruota ch’igualmente è mossa
l’Amor che muove il sole e l’altre stelle.

La volontà è unificata con l’universalità cosmica al di sopra di ogni contingenza, e la serenità è finalmente raggiunta.

La ragione fa atei di tutti noi, la disperazione fa credenti di alcuni

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Rafel Mei

Lettura postclassica della Divina Commedia

Inviato da Rafel Mei 33 @, Roma, giovedì, dicembre 26, 2024, 11:52 (29 giorni fa) @ Rafel Mei 33

Argomenti di discussione

Nel 20° canto dell'Inferno ai divinatori viene comminata la pena di avere la testa volta dalla parte contraria a quella usuale, i divinatori lasciano scorrere le lacrime fino alle natiche.

Ma più volte lo stesso Dante chiede e ottiene profezie sulla propria vita futura, anche da Cacciaguida, senza subire rotazioni del collo; diciamo che si tratta di uno stratagemma per descrivere fatti che sarebbero avvenuti dopo il periodo strettamente ascritto alle vicende del poema; alcuni passaggi (sei tu la costì ritto, come sa di sale) e il suo pianto per il piangere dei dannati sono brani di grande poesia.
Nel canto XVII del paradiso Cacciaguida prevede le sofferenze che l’esilio comporta (il sale del pane altrui, l’indegnità dei compagni, eccetera), tuttavia nulla menoma la fierezza del Poeta, vedi la risposta "In litteris vestris et reverentia debita" che egli invia ai fiorentini rifiutando con elegante disprezzo la goffa proposta di rimpatrio. Ma qui è da cogliere l'occasione per considerare un recente testo che narra di altre persecuzioni e di esilio, settecento anni dopo Firenze e Ravenna; si tratta di un libro capolavoro della scrittrice Judith Kerr, intitolato "Als Hitler das rosa Kaninchen stahl", "come fu che Hitler rubò il coniglietto rosa". Una famiglia di ebrei berlinesi che negli anni trenta del secolo scorso fu costretta a espatriare in Svizzera, Francia, Inghilterra, partendo e ritornando, dividendosi e riunendosi, in mezzo a timori, amicizie, ostilità. Il coniglietto di panno lenci rosa è in discussione nella scelta dell'ultimo oggetto da inserire in valigia, e viene scartato a favore di un altro pupazzo. Quando trovano la casa svaligiata e il coniglietto sparito rimpiangono di non averlo portato via prima, però in qualche modo sorridono. " Und hat (Hitler) mein rosa Kaninchen lieb!" sagte Anna und lachte. Aber gleichzeitig liefen ihr Traenen ueber die Wangen". (a Hitler piace il mio coniglietto, disse Anna ridendo, mentre lacrime le scorrevano sulle guance).
Nella narrazione di questa storia il tragico è presente, velato e ostentato nello stesso tempo da una raffinata impalpabile ironia, un atteggiamento assai diverso dalla reazione dantesca al sopruso e alla soperchieria.
Nel testo della Commedia compaiono molti passaggi che si riferiscono all’inconscio, come il “se fosse amico il re dell’universo”, la bestemmia del verso 91 del canto V dell’inferno, come un Pier delle Vigne suicida trattato da eroe, come Virgilio e i pargoli senza colpa puniti nel limbo, come Catone defraudato dell’amore per Marzia, come Federico II dannato e osannato; poi la compressione violenta di tutte le aspirazioni operative e culturali dell’umanità, e questi sono solo alcuni esempi di sintomi emergenti da rimozioni imperfette; ebbene, nessun commentatore prende in considerazione questi fatti. Perché al tempo di Dante Freud non aveva scoperto l’inconscio? Del resto a quell’epoca niente idrofobia e peste, visto che Pasteur non aveva ancora studiato microbi e bacilli.
Si confermano due livelli interpretativi: uno apparentemente semplice letterale e uno più profondo per chi non intende fermarsi a date e genealogie, ma ci possono essere delle complicazioni, soprattutto quando si cerca un'interpretazione allegorica di passaggi che di interpretazioni ultraletterarie non hanno proprio bisogno; come il famoso piè fermo in basso, dove per non ammettere che l'io narrante camminava in piano, gli esegeti continuano ad esercitarsi in voli di imbarazzanti metafore, le famose peccatrici che tolgono l'acqua alle pettatrici mettendole in difficoltà nel cardare la canapa, Ugolino che si dedica a pasti che la verecondia vieterebbe di immaginare, e soprattutto di attribuirne la narrazione al Poeta.
Spingersi oltre le date e le genealogie è doveroso, ma è bene anche riflettere evitando la gaffe e il ridicolo.
Papè satàn, papè satàn aleppe!...
Come mai nessun altro commentatore riporta l'interpretazione araba di questo verso?
Oggi l'opera di Dante è in mano a esegeti che sanno tutto (cioè tutto quello che sanno). Questi professori imprigionano il pensiero del Poeta dentro schemi teologici che rendono difficile capire e ragionare nel suo spazio mentale. Tuttavia la rivoluzione culturale prosegue, magari a stento, e nel tempo qualche frutto maturerà.

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Rafel Mei

Lettura postclassica della Divina Commedia

Inviato da Rafel Mei 33 @, Roma, giovedì, dicembre 26, 2024, 11:53 (29 giorni fa) @ Rafel Mei 33

Sono da notare parecchie apostrofi rivolte indifferentemente a miti o a personaggi della religione tomistica, per esempio

Paradiso canto I versi 20-21 " si come quando Marsia traesti dalla vagina delle membra sue " e
Paradiso canto XXXIII " Vergine madre figlia del tuo figlio"
Il primo è rivolto ad Apollo, il secondo alla Madonna come se tra i due personaggi non ci fosse alcun distacco. Ma c’è un pezzo che si esprime con indipendenza, ed è l’esame sostenuto sul tema virtù teologali, (canto XXIV e altri del Paradiso): nelle risposte date a san Pietro l’Autore recita, convinto e con tutta la compunzione che la satira richiede, il “credo” prodotto dal concilio di Nicea.
e ci sono altre simili apostrofi indifferenziate, nella totale unificazione di mito e teologia, ma cosa significa questa equanimità?
Bisogna aspettare la prossima generazione di esegeti, sperando che si accorgano e confidando che capiscano,
ci vogliono persone che leggano il testo, anziché rimuginare le note scritte da sé stessi o da altri.
Intanto continuiamo a seguire l’equiparazione dei personaggi e fatti del mito ai personaggi e fatti della teologia, come si produce lungo tutto il poema, tanto che non ci sarebbe bisogno di riportare alcun esempio, ma ci sono dei punti dove l'imparzialità icastica fa stridore e sconcerto: da citare il caso di Caronte ridotto all'obbedienza dal potere divino, la carica ufficiale di Pluto guardiano dell'Ade di fronte ai poteri di San Pietro guardiano del Paradiso, lo sguardo pietrificatore della Medusa e gli occhi vivificanti di Beatrice. E Minosse all’uopo caudato, che ha il grottesco potere di valutare i peccati e determinare la collocazione dei dannati? In una gara dei gradi di disprezzo per la teologia scolastica questo episodio sarebbe tra i candidati al primo posto.
E concludendo tanta distruzione, che ne è del Poeta? "Ma già volgeva il mio disiro e 'l velle", consustanziato nella realtà cosmica con un panteismo che anticipa per centinaia di anni la scienza e la filosofia del mondo occidentale.

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Rafel Mei

Lettura postclassica della Divina Commedia

Inviato da Rafel Mei 33 @, Roma, giovedì, dicembre 26, 2024, 11:54 (29 giorni fa) @ Rafel Mei 33

Bibliografia dedicata

Armando Troni su Wikipedia
Carlo Steiner curatore della “Commedia” edita da Paravia negli anni cinquanta
Eugenio Camerini curatore della Divina Commedia edita da Edoardo Sonzogno Milano 1877
Carlo Witte, Paget Toynbee La Commedia di Dante Alighieri, METHUEN E C Londra MDCCCC
Isidoro del Lungo e altri La Divina Commedia istoriata da Sandro Botticelli Ed. Del Drago Milano 1981
Massimo Jevolella, Le radici islamiche dell’Europa
Paget Toynbee, A dictionary of proper names and notable matters in the works of Dante. Oxford 1968.
William Warren Vernon Readings on the Inferno of Dante. Methuen & Co 1906
William Warren Vernon Readings on the Purgatorio of Dante.Macmillan and Co London 1897
William Warren Vernon Readings on the Paradiso of Dante. Macmillan & Co
Editore Dr.Erwin Laaths Das Neue Leben, Die Göttliche Komödie 1963
Annual Report of the Dante Society, CXXV 2007
M le Chevalier Artaud De Monitor, Histoire de D. Alighieri Librairie d’Adrien le Clere et C. 1891
Miguel Asin Palacios La escatologia musulmana en la Divina Commedia
Miguel Asìn Palacios Dante e l’Islam; Storia e critica di una polemica; Pratiche P Editrice
Aldobrandino Malvezzi L’Islamismo e la cultura europea. Sansoni Firenze 1956
Giuliano Mion La lingua araba Carocci Editore, 2017
Giacomo Devoto Il linguaggio d’Italia Rizzoli 1996
Francesco Biondolillo Poetica e poesia di Dante G. D’Anna 1976
Francesco Gabrieli Arabeschi e studi islamici Guida Editori 1973
Ignazio Silone avventura d’un povero cristiano Oscar Mondadori 1987
Interviste a persone di lingua madre araba.

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Rafel Mei

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