Lettura postclassica della Divina Commedia (Altro)
proseguiamo....
Inferno canto VII primo verso
Papè satàn, papè satàn aleppe!
E’ da considerare la versione proposta da Armando Troni, deformazione dell’arabo “Beb el Chajtan,Beb el Chajtan, Laheppe ”, la porta di Satana, la porta di Satana, (fermati) la fiammata!.
I versi che seguono tendono a confermare questa interpretazione; vista l’esortazione del savio gentil che tutto seppe (anche l’arabo biascicato dal guardiano infernale) a non farsi danneggiare dalla paura, è come se Dante “si facesse ripetere” da Virgilio quanto Pluto voleva significare, cioè “fermati!”:
…Non ti noccia
la tua paura; ché poder ch’elli abbia,
non ti torrà lo scender questa roccia.
Questa invasione linguistica merita qualche considerazione: l’arabo con cui avevano contatto gli studiosi del tempo come Brunetto Latini, Raimondo Lullo, Ricoldo da Montecroce, Dante stesso, era l’idioma classico, importato oltre che con i contatti verbali, con i testi che “giravano”, (particolarmente noti dovevano essere insieme al Corano e alle narrazioni del mi’raj, cioè dell’ascesa al cielo di Maometto, ”L’Alchimia della felicità” e il “Libro della Scala” di Abraham Alfaquin); ora le opere scritte escluderebbero le espressioni dialettali della diglossia, ma come spesso accade nelle citazioni in lingue diverse da quella del testo, si operano delle deformazioni più o meno volontarie (un esempio è fornito dallo stesso Dante nella “Vita Nova” alla prefazione del sonetto “Li occhi dolenti per pietà del core”, dove cita la denominazione del mese di ottobre, ”Tisirin”, versione addomesticata dell’originale arabo “Techrjn”) (2)
Con il supplizio di Maometto prosegue l’ostentazione del disprezzo per il tipo di castigo attraverso le parole del castigato (Inf XXVIII 34 -36)
E tutti gli altri che tu vedi qui
Seminator di scandalo e di scisma
Fuor vivi, e però son fessi così.
C’è inoltre da notare la particolare presa di posizione, che si troverà nel canto III del Paradiso, verso 120, dove Piccarda Donati elogia l’imperatrice Costanza il cui merito essenziale è aver generato Federico II (è da sottolineare l’ammirazione del Poeta per “il Sultano Battezzato”, campione di quella civiltà che si vorrebbe limitata e caduca).
Inferno canto XII versi 77 – 78
...e con la cocca
Fece la barba indietro alle mascelle
Tendendo l’arco con la cocca vicino alla guancia sposta la barba indietro e lascia vedere la bocca.
Non si vede la ragione per cercare metafore e allegorie ad ogni costo.
Inferno canto XIV verso 80
Che parton poi tra lor le peccatrici
Ormai i commentatori riportano l’appropriata versione “pettatrici”, che tuttavia deve ancora essere giustificata con qualche informazione. Ai tempi di Dante la pettatura era un’operazione agricola nota e diffusa come la trebbiatura del grano o la molitura delle olive, giacché costituiva il trattamento centrale della canapa, fibra tessile allora poco meno che unica. La canapa si fa macerare in sufficiente quantità di acqua, si lascia asciugare, e poi la pettatrice (lavoro di donna è) la fa passare attraverso le scanalature longitudinali baciate delle fauci di un coccodrillo (la gramola), e mentre, sempre la pettatrice, con una mano tira il mannocchio, con l’altra che ha afferrato il naso dell’attrezzo, batte la mascella contro la mandibola, triturando le cannule infragilite e lasciando uscire la fibra pulita. Come facevano i primi commentatori a non parlare di “pettatrici”, e a descrivere improbabili congressi di (avessero almeno detto) “meretrici” igieniste?
Inferno canto XXXI verso 67
Rafel mai amech zabi et almi
Qui il Poeta non intende mascherare alcun significato, anzi esclude che ve ne sia uno, come dimostra la risposta di Virgilio, così diversa dal caso del pape satan (3). Ma nell’espressione animalesca di Nembroth, il maggiore colpevole fra coloro che hanno perso il linguaggio comune lungo la torre di Babele, si rintraccia qualche suono ebraico, così in questa frase disarticolata prende senso il contrappasso.
NOTE
(2) Le considerazioni qui esposte sono dedotte dai testi di Ievolella, Gabrieli, Asin Palacios, che discutono la possibilità di plagio da parte di Dante ai danni di autori araboislamici come Ibn Arabi, Abraham Alfaquin e altri. Ovviamente qui non ci occupiamo della questione del plagio, ma solo del rapporto di Dante con la lingua araba, e da questi lavori si evince che il Poeta conosceva la lingua a un livello sufficiente per produrre la famosa dizione che oggi diremmo giornalistica.
(3) In questa circostanza Virgilio semplicemente zittisce e liquida Nembrot, mentre Pluto viene sgonfiato e abbattuto come a dimostrare quanto sia velleitaria la sua pretesa di bloccare il percorso che Dante sta intraprendendo e, nota nella nota, non sembra che mito e teologia siano equiparati del tutto, il mito ha un peso maggiore.
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Rafel Mei
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2024-12-22, 16:17
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